Video 



Luigi Viola, Erasures, Venezia, 1975 video

VIDEO 1975- 1980


Ho iniziato a lavorare con il video nel 1975, stimolato dalla necessità di trovare uno strumento che fosse in grado di fissare in tempo reale il rapporto tra immagine e parola, fra tempo dell’azione e tempo della scrittura, in sintonia con la ricerca che andavo svolgendo in quegli anni nell’ambito della sperimentazione poetica.

I primi video furono prodotti da me autonomamente, con una attrezzatura assai limitata.

Una diversa possibilità mi fu data l’anno successivo dalla Galleria del Cavallino di Venezia che, organizzando un incontro video a Motovun in Croazia tra artisti italiani ed iugoslavi, mi offrì l’opportunità di produrre alcune opere legate alla tematica prescelta, quella dell’identità, particolarmente attuale e sentita dagli artisti partecipanti.

Negli anni seguenti furono organizzati dalla Galleria del Cavallino video-laboratori periodici tra i quali uno di notevole importanza sull’uso del mezzo.

Video as no video del 1978 è un lavoro che io ho realizzato nell’ambito di tale laboratorio ed intende porre alcune domande di fondo sulla natura del video, nel tentativo di definirne i valori ontologici.

Urlo e Do you remember this film? del 1979 sono invece opere legate al clima di “Alice”, vale a dire alla mia produzione fra il 1976-77 e il 1979 circa.

In quegli anni la mia poetica è andata orientandosi nella direzione di un recupero dei valori dell’immaginario e del fantastico, attraverso il doppio filtro della memoria e di quella che ho chiamato osservazione incantata.

E questo sempre nell’ambito di una pluralità di strumenti espressivi che vanno dal video alla fotografia, alla scrittura, alla performance, alla voce.

Ciò che agisce nei due video ricordati è specificamente la memoria, che emerge da una diapositiva o nella proiezione domestica di un film super8. L’immagine viene così a caricarsi di significati simbolici ed allusivi, messi ancora più in evidenza dal valore evocativo e dal lirismo del testo verbale.

Il collegamento con i lavori fotografici dello stesso periodo appare abbastanza evidente.

Questo clima di ricerca si è venuto svolgendo nelle opere del successivo ciclo di “Norwid”, dove i valori della soggettività e dell’immaginario hanno trovato la massima esaltazione e che forse non avrebbero potuto esistere senza questi antecedenti

da: Sul Video (1980)


der Himmel über dem Ghetto 2016

VIDEO AFTER 2000


DER HIMMEL ÜBER DEM GHETTO 2016

The video has a simple narrative structure. Shoots, in direct sequence with few editing, offer a walk inside the Venetian Ghetto, with a gaze focused on the sky. The slight oscillations of the camera, used freehand, give a performative rhythm to the image, while the accentuation of the verticality of the buildings, aligned along the channel of light that penetrates from above into them, produces a sort of dematerialization of the architectural forms with effect of perceptual inversion: so that the celestial furrow seems to dissolve its impending appearance in a liquid stream, flowing downwards like water on whose surface the changing reflections of the architectures are mirrored.

The passage of celestial light that shows us the road along the Ghetto, not only illuminates the forms that are alive expression of the centuries-old dwelling of a community - which in that place has been able to preserve and create and disseminate considerable spiritual values, civilization, culture, knowledge and resistance to segregation and discrimination, surviving to the most serious persecutions and tragedies - but it represents a place of freedom, one open and fluid space above our heads that cannot be controlled and that cancels the high and narrow surfaces that tighten it to the sides surrounding it and closing it. The title invokes that of Wenders' film The Sky over Berlin. A play on words, suggestions, oppositions, subtle relationships, also because - even in our case - we cannot completely exclude that some angel of Rilke lives invisible in the Ghetto and watch us from there, waiting for the moment to fall in love with one of us and then descend from that sky to share our existence, while meanwhile wanders over our heads.

Perhaps one of them convinced a white stork, traveling from Berlin to Africa, to make a nest on the highest roof of the Ghetto, not far from the German school. She could tell us what the sky above Berlin and the one above the Venice Ghetto have in common.